PALME E BANANI



I filari di palme che spuntano in piazza Duomo nasce dall’idea di Marco Bay, l’architetto milanese che ha già firmato il giardino per lo spazio museale dell’Hangar Bicocca e della «Serenissima» in via Turati. Sponsor è Starbucks, che aprirà il primo negozio d’Italia a Milano, in piazza Cordusio, nel 2018.
Le nuove aiuole — le palme arrivano da vivai comaschi — sono state scelte con l’idea di «rinfrescare» una tradizione di fine Ottocento. Le palme non sono del tutto straniere in città, oggi se ne contano 131 esemplari nei parchi pubblici. Le nuove aiuole con palme, banani e ibiscus, potrebbero sembrare un progetto ardito ma non del tutto incoerente con la tradizione milanese. Infine lo sponsor garantirà una manutenzione impeccabile, cosa non semplice in un’aiuola che, a causa dei sottoservizi presenti, è dotata di uno strato molto sottile di terra.
Le palme, basse, decorative, sono presenti nelle vedute storiche di inizio Novecento, sono la concezione dei giardini Liberty.

Una tempesta perfetta si è scatenata nella Rete. C’è di tutto, migrazione e difesa dell’identità, esotismo e tradizioni, islam (le palme) e cristianità (la domenica delle palme), destra contro sinistra, localismo contro globalizzazione. Mai quella è poco più di un’aiuola, seppure in una piazza così prestigiosa, aveva suscitato un tale caos di reazioni e sentimenti.

Messaggi, tweet, commenti, raduni e improperi non si contano più. C’è molto divertimento, dosi generose di sarcasmo, sforzo per apparire spiritosi e originali. Ma c’è anche un eccesso di acredine, un livore esagerato, parole che sembrano uscite da armadi del passato, «contro i fasci» che non vogliono le piante, o contro «il mullah Sala» che invece le ha volute. Guai a pensare che sia solo un gioco per chi vive nella piazza virtuale. Perché poi le palme le bruciano davvero.

Chi pensa che le palme della piazza del Duomo, a Milano, siano un’esaltazione filo araba si confonde. Araba e mediterranea d’origine è la Phoenix Canariensis, quella palma dei litorali e del meridione italiano che già era coltivata dalle parti nostre in epoca romana e oggi si è ammalata per colpa del punteruolo rosso, il temibile Rhynchophorus ferrugineus, stupidamente importato da vivai a basso prezzo in Egitto dove è endemico. Le palme del Duomo sono invece quelle tipiche dei giardini di fine 800 in Inghilterra come nell’Italia del Nord, in quanto resistono fino a 15 gradi sottozero. La si deve, questa palma, alla geniale attività di Robert Fortune (1812-1880) che, andato in Cina per rubare piante da tè da impiantare in India, si portò nelle isole britanniche anche vari esemplari di Trachycarpus oggi chiamate Fortunei in suo onore: la pianta si adattò ai giardini europei con facilità, visto che proveniva dalle aree meridionali dell’Himalaya.
La sua parente più piccina, la Trachycarpus Wagneriana deve la sua fortuna al botanico Albert Wagner che la portò dal Giappone a Berlino e da lì la fece girare per l’ Europa. Oggi, nei nostri giardini è diventata spontanea. Ergo: i dementi hanno incendiato un piccolo pezzo della nostra Storia e di quella europea.

Dopo le palme, i banani (musa ensete). Ma così era stato promesso. Piazza Duomo diventa sempre più «esotica» con il nuovo look tropicale dell’aiuola davanti alla cattedrale, simbolo della città. Stavolta non c’è stato l’effetto sorpresa (le critiche e le approvazioni sono iniziate con le palme cinesi). C’è chi apprezza la novità (apparsa nella notte tra mercoledì e giovedì) e non si fa mancare i selfie con il nuovo panorama, e chi , invece, tra ironie e impietosi giudizi, boccia i nuovi alberi venuti da Paesi lontani. Anche sui social network non mancano i commenti: «Ma che cosa c’entra tutto questo con Milano?». «Ma è l’africanizzazione di Milano?».

Gli ultimi ad essere piantati bergenie, ortensie e ibiscus con fioriture di colore rosa. L’installazione ornerà la piazza per tre anni.

Gli italiani tendono a non apprezzarle («troppo poco milanesi e poco fashion» borbottano) ma gli stranieri invece le vedono come una voglia di Milano di far discutere, di osare.

L’obiettivo era ottenere il massimo della visibilità in modo rapido, non si può certo dire che Starbucks non l’abbia centrato in pieno.

Le palme che tanto stanno facendo discutere gli italiani sono costate poco più di 200.000 euro.



Un’onta, secondo alcuni, al decoro milanese, con palme e banani ritenuti colpevoli di aver dato un’impronta eccessivamente “esotica” alla piazza, diventata una sorta di “habitat naturale per popolazioni non autoctone “. E nemmeno troppo gradite, evidentemente, visto che si è parlato di “africanizzazione di Milano”.

Il disagio è sfociato in fiumi di commenti infuocati sui social, con tanto di esponenti politici impegnati a darci le loro illuminanti opinioni.

Sui social network imperversano tweet e post sulla comparsa degli alberi di palma in piazza Duomo a Milano. Al di là dei giudizi estetici, c'è chi strumentalizza le piante esotiche per prendersela con gli immigrati e i fedeli musulmani.

Al di là di fotomontaggi e battute divertenti, però, non manca chi collega palme e banani con fenomeni come l'immigrazione o l'Islam, lasciandosi andare ad affermazioni che contengono un razzismo strisciante o anche esibito in maniera piuttosto evidente. Sulla questione estetica, naturalmente, la discussione è aperta e lecita: c'è chi non ritiene "belle" le nuove aiuole e chi non crede rispettino la tradizione milanese (per quanto è stato ribadito più volte come già nell'Ottocento sul sagrato del Duomo fossero state installate delle palme, certo più basse di quelle attuali). Molte battute evidenziano però come, al di là dei giudizi estetici, le palme e i banani sembrino solo l'ennesimo pretesto per attaccare gli immigrati che arrivano nel nostro Paese e i fedeli di altre religioni, come i musulmani. Capofila di tante battute in questo senso il segretario della Lega Matteo Salvini: "Palme e banani in piazza Duomo? Follia. Mancano sabbia e cammelli, e i clandestini si sentiranno a casa. #motosega #starbucksgohome", ha scritto Salvini su Twitter, con un livello di generalizzazione e banalizzazione francamente imbarazzante, al quale c'è anche chi si oppone.

L'architetto che ha firmato il progetto: "Aspettate che sia completo"
Si sa: in questi tempi che consumano una quantità di informazioni enorme in pochissimo tempo si deve essere veloci per cavalcare i trend e venire ascoltati sul "fenomeno" del momento. E questo avviene spesso a discapito della profondità del pensiero che si vuole esprimere. Vale forse la pena ascoltare il semplice consiglio dell'architetto che ha realizzato il progetto: aspettare almeno che sia completo prima di esprimere un giudizio.



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